TRA NORD E SUD ITALIA

Gent.mo sig. Luigi, non le nascondo l’emozione che ho provato nel leggere il suo bel racconto. Sono tornata indietro nel tempo e ho rivisto i volti pieni di lacrime delle donne del mio paese, quando i loro uomini partivano in cerca di lavoro e loro erano costrette ad una lunga solitudine in compagnia di vecchi e bambini, con tutto il peso del duro lavoro dei campi sulle spalle. Sono state donne eroiche, madri e padri per i loro figli. Vedendo la loro tristezza giurai a me stessa che se mi fossi sposata sarei andata ovunque col marito, a costo di lavorare da sola restando zitella. Fortunatamente per me le cose sono andate nel verso giusto. Nel 1965 ho seguito il marito e ho trovato anche il lavoro. Non avevo titoli di studio, poiché le donne a quei tempi non potevano studiare ma dovevano solo ‘fare la calzetta’… avevo però una gran voglia di mettermi alla prova. Trovai lavoro a Bologna con un colpo di fortuna, per caso, chiesi se c’era lavoro ad uomo che credevo fosse un facchino… invece era il padrone della fabbrica a cui mi ero rivolta. In meno di un giorno fui assunta ‘a scatola chiusa’, anche perché il lavoro di mio marito, poliziotto, era una specie di garanzia. Cento uomini e sole nove donne! Non avevo mai visto una fabbrica metalmeccanica, né un tornio, né un calibro, né tutti quei maschi un po’ curiosi. Mia madre mi aveva sempre detto: “Quando passi davanti agli uomini abbassa la testa”. Io lo feci e fui soprannominata ‘la selvaggia’. Il luogo in cui si trovavano le macchine pesanti era situato sotto il livello stradale e la prima volta mi sembrava di essere entrata nell’antro dell’inferno. Mi misi a lavorare a testa bassa, senza guardare in faccia nessuno, finché sentii una mano posarsi sulla spalla e una voce che mi disse:”Vada più piano e ci guardi pure in faccia, sa, qui non abbiamo mai mangiato un essere umano.” In seguito quella persona diventò il mio maestro e ancora adesso è un caro amico di famiglia. Col tempo le cose sono cambiate, come il mio soprannome, che diventò ‘la marescialla’ e poi ‘la marocchina’. Lì ho scoperto un mondo nuovo e aperto gli occhi su una realtà sconosciuta. Ho scoperto un altro tipo di solidarietà e aiuto reciproco, imparato a ragionare con la mia testa e a non aver paura… dei comunisti, che anzi, mi pareva proprio che lottassero per condizioni di lavoro più umane a beneficio di tutti, entrando poi negli anni a far parte nel Comitato di Fabbrica, unica donna. L’emigrazione per me è stata un’occasione di crescita, sono uscita dal bozzolo un po’ stretto della famiglia, ho conosciuto parole e usanze diverse dalle mie, anche se il mio cuore è sempre rimasto alla Fonte, dove non vedo l’ora di tornare sempre, tanta è forte la nostalgia, e dove spero di riposare un giorno (il più tardi possibile). Niente da paragonare, caro sig. Luigi, con la sua esperienza, anche considerata la sua lontananza da casa, in terra veramente straniera. Però anche per una della Fonte a quei tempi, quando le donne che andavano a lavorare erano considerate un po’ male, l’impatto è stato difficile, davvero. Dovremmo perciò guardare con altri occhi le persone che vengono oggi a cercare lavoro da noi, anche se sono tanti; ma, come diceva il sindacalista Di Vittorio, nello sceneggiato trasmesso in RAI qualche sera fa: “La fame è nera e io che sono un cafone e la conosco farò di tutto perché nessuno la patisca più”.

(Antonietta D'Ascenzo)