IL MAGO ATTILIO

Zio Attilio Rosa per noi ragazzi era un mito, aveva il potere di farci credere vere le storie più strampalate mentre la moglie Checchina scuoteva la testa chiedendosi a voce alta chi fosse più matto: il marito o noi che gli credevamo (anche se poi lei stessa rideva ‘sotto i baffi’). Ricordo che d’inverno la terra era coperta di neve e le bestie stavano nelle stalle, portate fuori alla Cona a bere acqua solo al mattino e al pomeriggio (e resta ancor oggi per me un mistero come facessero le povere bestie a non cadere su quelle strade ghiacciate...). Verso le 14,30 zio Attilio scendeva nella stalla, metteva lo ‘strame’ nelle mangiatoie e, in attesa che le mucche mangiassero, cominciava a cantare, battendo il bastone sulla porta. Quello per noi era il segnale che ci radunava tutti nella stalla per entrare nel regno delle favole. Con me c’erano i miei fratelli Renzo, Raffaele e Francesco, insieme ad Aurora, Angelo, Stefano, Peppino, Ennio ed un’altra decina di coetanei. Le storie di zio Attilio erano tutte incentrate su lupi misteriosi, bambini perduti nei boschi e ritrovati poi dai genitori, serpenti e draghi dai poteri magici, tutte storie fantastiche che raccontava con grande dovizia di particolari, facendoci sognare. Poi, carezzando dolcemente la nostra testa ci cantava una filastrocca contro il malocchio che recitava così in dialetto: “Io t’inciarmo e t’assicuro: delle serpe morte non avè paura e quelle vive non le toccà, che ti ponno mozzicà!”. Ancor oggi i miei nipoti si divertono ad ascoltare questa filastrocca misteriosa che spero così di non far cadere nell’oblio… Zio Attilio non incantava solo noi, ma anche gli animali. Quando Bice, sua figlia, scendeva nella stalla per mungere la mucca, la povera bestia non dava il latte finché zio Attilio, seduto sulla mangiatoia, non aveva terminato il suo rito propiziatorio con il solito ‘Io t’inciarmo….”. Un giorno zio Attilio si ammalò e la mucca si rifiutò di dare il latte. Provarono di tutto per convincerla ma senza risultato. Per caso passò di lì il fratello di Attilio, Vincenzo, il quale ebbe un lampo di genio: si sedette sulla mangiatoia e recitò la misteriosa filastrocca, accarezzando la testa della bestia, così come faceva sempre il fratello. Fu il magico tocco del fratello di Attilio o la filastrocca tanto amata a sbloccare la situazione? Ancor oggi non lo so. Ciò che è certo è che solo allora Bice riempì il suo secchio di latte fresco.

(Antonietta D’Ascenzo)